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direttore Guerrino Mattei

  

 

 

 

 spettacoli 

 

 

 

 

ROMA - TEATRO GHIONE

 

 

Una pura formalità

dal film di Giuseppe Tornatore

con

Glauco Mauri - Roberto Sturno

e con

Giuseppe Nitti, Amedeo D'Amico,

Paolo Benvenuto Vezzoso, Marco Fiore

 

scene Giuliano Spinelli; costumi  Irene Monti; musiche  Germano Mazzocchetti; produzione Compagnia Mauri  Sturno; in collaborazione con la Fondazione Teatro della Pergola

 

 

versione teatrale e regia Glauco Mauri 

 

 dal 12 al 24 gennaio 2016

 

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durata spettacolo: 1 ora e 30 minuti senza intervallo

Tutta la programmazione sarà accessibile anche a spettatori videolesi e audiolesi che, grazie al Ghione, possono da alcuni anni, vivere l'esperienza del teatro.

 

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Info: Teatro Ghione, via delle Fornaci 37, 00165 Roma

tel. 06 6372294 – 06 39670340, fax 06 39367910 – info@teatroghione.it

 

 

 

 

Tema centrale di Una pura formalità: la ricerca della memoria. Gli squarci che si aprono nella mente del protagonista durante il serrato interrogatorio in uno "strano" commissariato ricostruiscono il suo passato, risalgono alle sue origini con continui colpi di scena, e come in un thriller lo spettatore arriva alla verità con un inatteso finale.

Una squallida stanza di uno squallido Commissariato di Polizia. Si direbbe facile, in fondo, una stanza è una stanza. Ma c’è qualcosa di inquietante: tutto è sbilenco, una prospettiva irregolare, libri e faldoni ingrigiti dagli anni, sui muri misteriosi graffiti e un orologio senza lancette... come se il tempo si fosse fermato.

Quando il film uscì nelle sale nel 1994 fu accolto, per la sua inquietante novità, con una certa difficoltà da parte della critica. Oggi è considerato uno dei film di Tornatore più belli in assoluto (lo stesso autore ne è convinto), un “piccolo capolavoro”, ne erano protagonisti Gérard Depardieu e Roman Polanski con Sergio Rubini. Nell'allestimento teatrale, Roberto Sturno è lo scrittore Onoff e Glauco Mauri il Commissario, con loro in scena: Giuseppe Nitti, Amedeo D'Amico, Paolo Benvenuto Vezzoso, Marco Fiore. Le scene sono di Giuliano Spinelli, i costumi di Irene Monti, le musiche di Germano Mazzocchetti.  

"L’intensità del racconto, il suo ritmo, illuminato da emozionanti colpi di scena, una razionale e al tempo stesso commossa visione della vita – dice Glauco Mauri – mi hanno spinto, in pieno accordo con Tornatore, ad una libera versione teatrale.

Già il film ha una sua struttura sospesa fra cinema e teatro e questo mi ha molto aiutato nel lavoro. E come negli “incontri” fortunati, la storia così magnificamente raccontata nel film, ha fatto germogliare in me emozioni inaspettate che diventavano sempre più mie.

Un’opera tanto più è valida quanto più dona a un interprete la possibilità di scoprire sfumature umane e poetiche in essa nascoste.

Ho cercato di far rivivere tutta la forza drammatica della sceneggiatura modificandone quelle parti che si presentavano con dei connotati troppo cinematografici, preservandone al tempo stesso quell’intensità che dall’inizio ci avvolge nel suo misterioso intreccio. Il racconto rimane oscuro fino al suo sconvolgente epilogo dove i pezzi lacerati di una vita si compongono in una serenità inaspettata e commovente: un capovolgimento radicale di quello che sembrava un giallo.

Un delitto è stato commesso e ne viene accusato un celebre scrittore, Onoff.

Ma, pur con la tipica atmosfera di un thriller, Una pura formalità è un viaggio alla scoperta di se stessi, di quella che è stata la propria vita.

Gli uomini sono eternamente condannati a dimenticare le cose sgradevoli della loro vita; e più sono sgradevoli e prima si apprestano a dimenticarle”. Ecco quello che scrive in uno dei suoi romanzi Onoff, che nella lunga notte di Una pura formalità cerca ansiosamente di ricordare... ricordare... cosa?

Un altro uomo aiuta Onoff in questa faticosa ricerca di un passato che si è voluto dimenticare: un inquietante commissario di polizia, un personaggio duro e ironico, comprensivo ma implacabile...

Non può non sovvenirmi il ricordo del grande Dostoevskij e il rapporto tra Porfirij e Raskolnikov in Delitto e Castigo.

Tutto si svolge in una sperduta stazione di Polizia. Ma lo è veramente? E dove si trova? E quelle strane persone al suo interno, sono poliziotti? Cosa aspettano?

La storia fa nascere numerosi interrogativi ed è pervasa di “misteriosi perché”. Il cinema ha le sue ricchezze espressive, il teatro ne ha altre che sono sue proprie. E su un palcoscenico, nel nostro caso, la parola assume un valore non solo di racconto ma anche di invito alla fantasia e alle domande. Domande necessarie all’uomo per aiutarlo a cercare di comprendere quel viaggio a volte stupendo e a volte terribile, ma sempre affascinante che è la vita.

Questo è quanto l'adattatore, regista  e grande interprete qual è M;auri chi  ha voluto dire nella premessa da noi rièportata pari pari, senza mai il bisogno di  qualche cesura.  Roberto Sturno in coppia col maestro è insuperabile e la rappresentazione completata con gli altri attori, bravi e  monolitici tutti entro il dramma, conduce lo spettatore  verso un epilogo atteso per un'ora e mezzo senza sconti, verso una chiusa terribile ove memoria e tempo divengono giustizieri eterni senza l'appello di nessuna attenuante parodiata da "una pura formalità": la morte!

Lo spettacolo  ti risuccia il fiato lasciandoti la gola secca dall'attesa. gli applausi ripetutissimi sciolgono le mani ma, seppure metafisico, il dramma coinvolge tutti con un grosso interrogastivo: la vita!

 

Guerrino Mattei